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I nonni raccontano

SFOLLATI

La guerra proseguiva, ma noi non sapevamo nulla di come stessero andando le cose, perchè nel piccolo paese dove ci eravamo rifugiati, non c'era la radio, nè alcun altro mezzo di comunicazione. Noi bambini ci rendevamo conto che qualcosa andava male, perchè c'era il tesseramento per i generi alimentari. Non c'era sale. Veniva una volta ogni tanto in paese un carro con una grossa botte di acqua di mare, da distribuire un po' a tutti per estrarre, con la bollitura, un po' di sale per ogni famiglia.

Non c'era zucchero. La mamma faceva una strana melassa con le barbabietole, oppure qualche volta usavamo il miele di acacie se qualche contadino ce lo regalava. Al negozio, mamma comprava una pessima mistura di farina di cereali e la minestra era così cattiva che ricordo le mie ribellioni ad inghiottirla. Una volta scappai di casa e la mamma mi rincorse con la scopa in mano per tutto il paese, finchè mi acciuffò e mi costrinse a mangiare la minestra.
Fortuna che c'era la zia con il mulino: noi bambini mangiavamo cartocci di farina cruda con un po' di zucchero. La mamma, Graziella ed io andavamo poi a spigolare il grano oppure a raccogliere le olive, ad aiutare i contadini per la vendemmia. In tali occasioni, riuscivamo a portare a casa qualche formaggella, della frutta o a "guadagnare" un pasto a base di zucca al forno.
I semi di zucca salati erano l'unico "pasticcino" che noi bambini avevamo a disposizione. Era il nostro passatempo nelle passeggiate domenicali. Eravamo velocissimi nello sbucciarli con i denti.Ricordo che anche per bere dovevamo faticare. La mamma ci dava un secchio e una brocca per attingere acqua al pozzo. Quando tornavamo a casa, metà dell'acqua del secchio l'avevamo perduta strada facendo.
Un'altra fatica, ma più divertente, era quella di andare in autunno nel bosco a raccogliere funghi, corbezzoli e legna per il camino. Ciascuno portava la sua fastella di legna in misura dell'età e delle forze.
Riponevamo la legna in solaio insieme all'uva che era messa a seccare su dei fili tesi. D'inverno potevamo scaldare un po' i nostri piedi che calzavano solo zoccoli con i calzettoni fatti a mano dalla mamma, usando residui dei gomitoli di lana di tutti i colori.
Ma i tempi duri non erano finiti. Io avevo dimenticato il viso di papà, rimasto a Genova a lavorare per procurarci da vivere.
Le comunicazioni ferroviarie vennero interrotte a causa dei bombardamenti perciò la mamma non riceveva più neanche il sussidio dal papà.
Avvenne che la famiglia del medico e del farmacista del paese si occupassero part-time della nostra povera condizione. La domenica una famiglia invitava a pranzo me e l'altra mia sorella. Venivamo accolte con cortesia, ma io mi sentivo a disagio messa accanto ai figli pulitini, eleganti e ordinati di questi signori. Avrei proprio voluto declinare l'invito! Ma la mamma diceva che era bene così, che fossimo compatite. Così forse questi signori avrebbero potuto regalarci qualche abito smesso dei loro figli e farci un regalino a Natale.