Stampa
I nonni raccontano

Il passaggio del fronte

Eravamo sfollati da Genova per non rischiare la vita, ma non sapevamo che proprio da quel piccolo paese toscano, Castelnuovo Berardenga, sarebbe passato "il fronte" cioè la linea lungo la quale si sarebbero scontrati ancora una volta gli eserciti nemici. In quel paese ci trovammo bene perchè accolti dalla nonna materna, due zie e vari cugini. La gente del luogo, semplice e ospitale, lasciava le porte di casa sempre aperte.

.

Noi bambini eravamo liberi come uccellini e giocavamo sempre. I nostri giocattoli erano le cose naturali che offriva la campagna: zucche da svuotare per farne maschere, giunchi per costruire graticci e cestini, bambole fatte con foglie di pannocchie di granoturco. Inoltre tutti gli animali erano nostri compagni di giochi: grilli, ranocchie, galline, pulcini, formiche, gazzillori, topolini; i cani da caccia dello zio e i suoi cavalli

Ricordo che la mamma era bravissima ad addomesticare gli animali. Allevò anche un piccolo porcellino tutto rosa allattandolo con il biberon. Riusciva a tenere insieme una gallina dalle uova d'oro, la nostra "Cocca" e poi un pulcino, un passero, un gattino. Camminava per il paese seguita dal codazzo di questi animali che non litigavano affatto tra loro ed erano fedelissimi alla mamma.

La nostra vita di bambini liberi era così felice che ci consolava persino del fastidio della scuola. Dovete sapere che la scuola era allora l'unico modo per educare un po' i bambini perchè le mamme dovevano provvedere a tutti i bisogni della famiglia, alle faccende domestiche, agli animali, agli orti e sostituire spesso i papà assenti a causa della guerra. Vivevamo in un tempo in cui gli ordini non si potevano mai discutere, era d'obbligo in talune occasioni indossare una strana divisa, marciare in fila ordinatamente e cantare canzoni patriottiche: praticamente nella scuola si imponeva ai bambini la disciplina dei soldati. La maestra era molto severa ed autoritaria e puniva per ogni più piccola disobbedienza o sbaglio: bastava una macchia sul quaderno sfuggita dal pennino che allora bisognava intingere nell'inchistro. Inoltre dovevamo scattare come molle sull'attenti per salutare qualsiasi personaggio che entrasse in aula. Io, che ho sempre avuto un carattere ribelle, non riuscivo a capire nè ad accettare queste cose.

Ad un certo momento si cominciò a sentire parlare di bombardamenti che avvenivano nelle vicinanze. Gli uomini del paese si attrezzarono per costruire rifugi. Ricordo che andammo nel bosco verso l'Ortaccio: cominciarono a scavare il terreno di una piccola altura, mentre noi bambini ci divertivamo a fare scivolate sull'erba. Mentre correvo verso l'alto il cane dello zio, volendo partecipare al gioco, mi rincorse e mi afferrò con un morso il sedere. Ciò non mi scoraggiò e continuai a fare scivolate, mentre gli uomini che scavavano imprecavano perchè il terreno, senza puntelli, franava. In alternativa, decisero di costruire un altro tipo di rifugio in mezzo al bosco. Fecero una capanna di frasche, mentre noi bambini correvamo dentro e fuori divertiti dall'idea della capanna, pur senza comprendere che differenza potesse fare stare semplicemente nel bosco o dentro la capanna di frasche, visto che le bombe parevano dover piombare dall'alto.
Una sera, ci sorpresero i bombardamenti. La contraerea aveva preso di mira Siena. Fuggimmo nel vicino campo di Oreste. Tutti i grandi ci consigliavano: "bambini, stendetevi a terra!" e noi, appiccicati al terreno umido, vedevamo in lontananza le esplosioni delle bombe e le luci dei bengala lanciati dagli aerei per illuminare gli obbiettivi. Era proprio uno spettacolo emozionante.

Intanto in paese era stata installata una sirena. Quando suonò per la prima volta, ricordando i primi bombardamenti di Genova e le nostre fughe precipitose per ripararci in galleria, mia sorella ed io ci precipitammo alla porta di casa per correre in un qualsiasi rifugio. La mamma non voleva muoversi da lì. Diceva che era indifferente rimanere o scappare perchè di veri rifugi non ce n'erano. Infine, alle nostre suppliche, ci portò al di là della strada, nella cantina del prete, dove altre persone si erano rifugiate nella speranza che per il fatto di essere nei pressi di un luogo sacro, sarebbero stati protette. Invece la prima bomba che cadde a Castelnuovo Berardenga finì proprio sul campanile della chiesa, distruggendolo.
Intanto il fronte tedesco avanzava in fuga. Il primo carro armato entrò nel paese percorrendo una via stretta che portava alla piazza principale, sull'angolo della quale c'era la nostra casa. Fummo destati all'alba da un colpo tremendo e da una vibrazione così forte che sembrava il terremoto. Il carro armato, sull'angolo, risultava essere più largo della stradicciola e inutilmente cercava di passare. Fuggimmo terrorizzati temendo che la casa ci franasse addosso.

Intanto cominciarono a scarseggiare i viveri, già razionati con la tessera, perchè ovunque passavano le truppe in fuga portavano via qualsiasi genere alimentare. Mia zia chiuse il mulino e con il marito, inventò una fabbrica artigiana di scope di saggina, utili ai militari. Mia sorella ed io, sentendo spesso i militari cantare "Lilì Marlene" la imparammo e mentri essi passavano in marcia attraversando il paese, la cantavamo con loro. Alcuni soldati tedeschi, inteneriti, ci davano qualche coccola e qualche fetta di pane nero.

I tedeschi piazzarono le loro postazioni al Poggiarrancia, oltre il paese, ma alcuni cannoni furono sistemati anche nel campo sportivo, vicino alla stalla e al mulino di mia zia, forse per difendere le retroguardie. Incuriosite da tanto rumore, mia sorella ed io un giorno ci arrampicammo sulla pigna di scope di saggina appoggiata al muro di cinta del campo sportivo e, con il viso appena sopra il muro, assistemmo allo sparo del cannone. Lo spostamento d'aria fu così forte che entrambe precipitammo dalla catasta di scope.

Una bomba degli americani, piombò in seguito nel campo sportivo, provocando una voragine. Dopo il primo temporale, la grande buca s'era riempita d'acqua. Noi bambini non avevamo mai visto tant'acqua tutta insieme, salvo che al lavatoio delle donne. Decidemmo di fare il bagno e, naturalmente, ci imbrattammo tutti da capo a piedi, con grande disperazione delle nostre mamme.

Poi, verso il '45 arrivarono le truppe degli "alleati" che inseguivano i tedeschi per la stessa via. Per noi bambini cominciò la festa, mentre molte persone del paese se la videro brutta. Mia sorella ed io, ignare delle differenze etniche degli uomini delle truppe di passaggio, continuavamo a cantare "Lilì Marlene" e i soldati americani ridevano e ci riempivano di biscotti, cioccolata, CHEWINGOOM!!! Quando il grembiulino che tenevamo teso era ricolmo di ogni ben di Dio, correvamo in casa dalla mamma a far vedere il bottino. Nell'assaporare il primo biscotto al burro della mia vita, ricordo che lo inghiottivo adagio sussurrando:"Bocconcino santo! Bocconcino santo!"

Prima degli americani e degli inglesi, erano passati dei militari di colore, una stranezza per noi. Sentivo dire che li avevano mandati in prima linea. La loro presenza in paese aveva spaventato le donne perchè la sera questi uomini spesso si ubriacavano e schiamazzavano nella strada. Dietro il portoncino della nostra casa era stato sistemato un robusto palo che faceva da puntello tra la porta e i gradini della scala. In quel modo, si poteva dormire tranquille.

Dopo il passaggio del fronte, si cominciarono a sentire notizie di vendette e uccisioni di persone che avevano parteggiato per gli uni o per gli altri. Per noi bambini, i "nemici" non erano altro che uomini che non andavano d'accordo: non riuscivamo a farci una ragione del fatto che l'unica soluzione fosse quella di ammazzarsi tra loro. Anche perchè noi, stando sulla strada a cantare "Lilì Marlene" avevamo avuto buffetti, coccole, regali da tutti e nelle loro strane lingue, ci avevano fatto capire che ricordavamo loro i figlioletti lontani. Non c'era parso che vi fossero uomini cattivi!

 

Mia sorella ed io, non ricordavamo più il volto del nostro papà, del quale ci parlava spesso la mamma piangendo. Un giorno, la sirena del paese suonò un'ultima volta per avvertire la popolazione che la guerra era finita. Il bar della piazza si era procurata una radio e la gente faceva capannello intorno per udire la favolosa notizia"La guerra è finita! La guerra é finita!"Noi bambini, sbigottiti, non sapevamo più cosa pensare. Che cosa sarebbe successo ora?

Davanti a casa nostra, c'era un distributore di benzina in disuso. Un giorno, mentre con la mamma eravamo sedute sul gradino della porta di casa, vedemmo un uomo con la barba lunga, le scarpe con le suole staccate, che si nascondeva lì dietro. Poi un vezzeggiativo rivolto alla mamma:"Pieruccia!". Vedemmo la mamma schizzare tra le braccia di papà e piangevano tutti e due, piangevano forte. Le ferrovie erano state interrotte dai bombardamenti, papà era arrivato fino a lì un po' a piedi, un po' con mezzi di fortuna. Ben presto si ripulì e la gente lo guardava ammirata e incuriosita e diceva:"Sembra un signore!"

Quando egli si rese conto che nessuna di noi aveva le scarpe, ci portò dal calzolaio del paese e ci fece fare a mano tre paia di scape uguali, fatte proprio come quelle degli uomini. Non ci sembrava vero di possedere delle vere scarpe. Ci facemmo fare persino la fotografia.

Tornammo a Genova con un furgone scoperto. Mamma, papà e la sorellina erano dietro insieme alle masserizie e alla nostra gallina. Io era davanti, schiacciata tra il guidatore e un altro omaccione che sudava e puzzava.Fu un viaggio interminabile, ero ansiosa di vedere Genova, non la ricordavo bene. Poi tutti in paese ci avevano salutati dicendo:"Che bellezza! A Genova c'è il mare! Quanto ci piacerebbe venire anche noi!"

Quando arrivammo a Genova provai una grande delusione. La città era distrutta, piena di macerie. Il quartiere dove abitavamo era in mezzo a casacce vecchie o bombardate. Non c'era neanche un albero e nemmeno un po' d'erba. I bambini erano antipatici, mi prendevano in giro perchè non mi lavavo abbastanza e parlavo il dialetto toscano. Mi cantavano questa canzoncina per umiliarmi "Toscanina mangia fagioli, lecca i piatti e i tovaglioli, sotto terra c'è i quattrini, accidenti ai toscanini!" Ma io pensavo "Gliela farò pagare!". Quei bambini non sapevano quanti giochi sapevo fare e inventare io!