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I nonni raccontano

GLI ODORI DELLA CAMPAGNA

Dovemmo attendere il calesse che ci portò al paese.
Era sera, avevamo una coperta sulle ginocchia, c'era una grossa luna piena. L'avventura mi divertiva molto. L'ambiente della campagna toscana mi accolse che avevo circa sei anni.

Mi colpirono gli odori, così diversi da quelli di Genova, la mia città. Ricordo ancora gli aromi del sottotetto di casa, dove insieme alle cataste di legna, veniva conservata la frutta fatta seccare al sole: l'uva, i fichi, le pesche, le noci; inoltre le varie marmellate e il miele. Al piano di sotto c'era la cucina della nonna. I vecchi mattoni del pavimento sapevano d'antico; sull'acquaio vi erano sempre il secchio e la brocca di rame pieni d'acqua; parte di essa era utile per lavare e parte per bere; da lì emanava un odore forte di muffa e di fogna. Il grande camino, con le panche dentro, accoglieva d'inverno grappoli di bambini che cercavano di riscaldarsi e il fuoco esprimeva gli odori di ciò che si andava cucinando: ora le castagne, ora le pigne dalle quali noi bambini ricavavamo golosamente i pinoli, ora le cialde al finocchio che la nonna faceva con apposite pinze poste sulla fiamma e di cui riempiva il tavolo per la nostra gioia.

Quando la mamma faceva il bucato nel tino, la cucina esalava umori di cenere e liscivia. La madia, sempre pronta per impastare il pane o la pasta, aveva il buon profumo delle cose genuine. Spesso la sera si mangiava ricotta dal fresco odore di latte. In paese, a quei tempi, non c'era ancora la luce elettrica e all'imbrunire veniva acceso il lume a petrolio che faceva filtrare il suo fumo nero direttamente dentro le nostre narici. La mamma intanto leggeva il libro "Cuore" piangendo, o la storia di Pinocchio ridendo. Noi due sorelline, in perfetta simbiosi di sentimenti con la mamma, facevamo lo stesso.


Prima di andare a dormire, sistemavamo la trappola per i topi. (Anche i topi hanno un odore particolare! Ma io avevo il cuore tenero e li liberavo di nascosto la mattina dopo, lungo la scarpata dove veniva gettata da tutti la spazzatura).


Poi, per andare alla latrina, costituita da un terribile buco nero dal quale esalavano tali miasmi da farci venire le lacrime agli occhi, si scendeva per una scala dal caratteristico odore di pietra impregnata di vecchie porcherie.

Al piano rialzato, c'era la camera da letto. Le lenzuola pulite profumavano di lavanda e di bucato. Ai lati del lettone c'erano due comodini con i vasi da notte per la pipì, un set di ferro e smalto utile per lavare le mani e la punta del naso e un armadio chiuso a chiave nel quale erano custoditi in un tovagliolo dei biscottini detti "serpini" che faceva la nonna per farci stare "buonine" e che conservava così bene per darceli in premio soltanto quando ce lo meritavamo.

Noi bambine, annusavamo il loro profumo passando avanti e indietro e, al tic-tac dell'orologio posto sotto la campana di vetro sul canterano, aspettavamo ansiose ogni sera il ritorno della nonna con la speranza di ottenere qualcuno dei golosi biscotti; la nonna faceva la cuoca e sovente ci portava un pentolino smaltato pieno di pasta e fagioli o di ribollita, che noi due bambine mangiavamo golosamente, al lume della candela, prima di ficcarci a nanna sotto le coperte.

La zia invece aveva il mulino: davanti, sul piazzale, c'erano sempre carri di buoi carichi di balle di farina e di grano e l'odore dello sterco degli animali misto al fango, ci faceva impazzire d'allegria. Noi bambini ci scatenavamo in quel lerciume e saltavamo sopra le balle di grano senza preoccuparci affatto dei piedi sporchi. Vicino c'era il porcile, con il caratteristico puzzo di maiale e di trogolo, e dal pollaio a fianco arrivava il tanfo degli escrementi delle galline: mi pareva che anche le uova, appena fatte, calde calde, sapessero di piume. Noi bambini le posavamo sugli occhi per renderli più belli.

Nella stalla, la zia teneva i cavalli e i cani da caccia. Anche lì ci aspettava nella penombra, insieme agli occhi dolci e miti dei cavalli, l'abbaiare dei cani, le fascine di saggina, una fragranza particolare mista di cacio, prosciutto, olio, mosto di vino. Nei pressi, la zia aveva anche un campicello ricco di ortaggi i cui profumi si facevano intensi appena venivano a maturazione. Quando poi la zia macellava il maiale o i conigli, un odore acre di sangue si spargeva nell'aria. I conigli, scuoiati, appesi al muro a frollare, attiravano le mosche; le ossa del maiale insieme alla liscivia erano messi a bollire nel paiolo nero sul camino per fare il sapone. Si può davvero dire che gli odori erano i veri protagonisti della nostra vita. Quando lo zio andava a caccia e prendeva lepri o fagiani, la zia cucinava un ragù meraviglioso che riempiva del suo profumo tutta la strada.

La sfornata del pane per la settimana, poi, era una festa. Noi bambini aspettavamo con ansia la fine della cottura, per avere il nostro "ciaccino" e le mele cotogne al forno: che profumo!
D'estate le donne andavano "all'ortaccio" dove c'era il lavatoio comune. Portavano sul capo i panni poggiati su stuoie intrecciate con le ginestre.

Attorno al lavatoio si sentiva l'odore misto dell'acqua sporca e dei panni puliti stesi al sole sui cespugli di rovi.
Noi bambini giocavamo con rospi e ramarri.

Spesso, stanchi di aspettare le mamme che lavavano chiacchierando rumorosamente, saltavamo di nascosto sul primo carro di buoi di passaggio e ci facevamo portare a S. Gusmè, dove c'era un bosco nel quale potevamo giocare tra acacie grondanti di cicale, pini marittimi e cipressetti: ci divertivamo a catturare i grilli, le lucertole, a fare piccoli graticci o cestini con le numerose ginestre e, se era tempo di processioni, raccoglievamo tanti fiori gialli, petali di rose selvatiche o violette da spargere poi lungo la strada davanti alla statua della Madonna.


A volte ci prendeva l'acquazzone e il bosco profumava di erba bagnata, di funghi, di muschio… così come profumate erano le balle di paglia o di fieno dei carri che prendevamo per tornare al paese (sempre che il contadino non si accorgesse di noi!). Altri odori particolari del paese erano quelli dell'incenso della chiesa; dei ceri e dei fiori appassiti del cimitero. Il negozio del pizzicagnolo sapeva di aringhe, di pere, di salumi, di tutto un po'; quello del barbiere, aveva l'odore tipico del profumo dozzinale e della schiuma saponata; quello del negozio di biciclette, sapeva di copertoni e di grasso; in quello del fabbro, regnava l'odore del metallo fuso perchè la fornace era sempre accesa a disposizione dei contadini che si fermavano per far ferrare i cavalli e per le donne che venivano a far limare i coltelli.


Il calzolaio aveva una bottega che profumava soprattutto di cuoio incerato. Egli metteva i ferretti alle punte e ai tacchi delle scarpe delle poche persone che le avevano... e vendeva invece molti zoccoli di legno. Il negozio del falegname, artigiano-artista del paese, sapeva di trucioli; era davvero bravo a fare intarsi con il legno dai vari colori.

Il bidoncino di latte, vicino a ogni crocicchio, al mattino presto, aveva il buon profumo di mamma.