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I nonni raccontano

L'INFANZIA

C'era una volta una bambina di circa 6 anni che si chiamava Adele, ma che tutti chiamavano Lina. Era una bimba molto birichina e vivace.Aveva una sorellina che si chiamava Graziella, molto facile al pianto, ma ad un pianto baritonale a squarciagola. Mamma Pierina, aveva raccomandato a Lina di custodire la piccola Graziella e Lina, sentendosi investita di tale responsabilità, svolgeva il suo ruolo di sorellina maggiore (di due anni soltanto!) con molto zelo.

Graziellina aveva la brutta abitudine di prendere da terra ogni cosa che le sembrasse "mangiabile" per metterlo in bocca (si sa, in tempo di fame! eravamo nel 1942). Lina, non appena vedeva il gesto rapido della sorellina, immediatamente le dava uno scapaccione e anche più di uno, così la povera Graziellina piangeva forte aprendo la bocca e Lina poteva estrarre la "schifezza" che ella aveva messo sotto i denti. Graziellina piangeva, piangeva, rotolandosi in terra e la gente che passava, rimproverava la povera Lina dicendole:"Che cosa fai a questa piccola bambina? Perchè la fai piangere? Lasciala stare!". Lina, imperterrita, trascinava la sorellina sul selciato, come fosse un pacco, fino alla porta di casa.

Un giorno accadde che le due bimbe andassero al cinema dell'oratorio. Finito il film (penosamente, in quanto nel frattempo Graziellina aveva chiesto da bere, poi da mangiare, poi di andare in bagno), venuta l'ora di uscire dal cinema, Graziellina insisteva con forza per rivedere il film daccapo. Lina, al limite della pazienza trascinava la sorellina seduta a terra mentre urlava come un ossessa quasi la stessero spelando viva, lungo il corridoio del cinema. La gente, come al solito, rimproverava Lina:"Cosa fai a quella bambina? Poverina, lasciala stare!"
Insomma Lina ormai aveva la fama della sorella terribile.

Dopo la scuola, nel pomeriggio, tutti i bambini si trovavano a giocare sulla strada. Si era costituita una "banda" di femmine e una di maschi: naturalmente Adelina era il capo-femmine. Armando, il capo-maschi, era molto geloso di Lina, perchè ella sapeva inventare giochi sempre nuovi e i maschi non potevano parteciparvi. Un giorno Armando, preso dalla disperazione, sfidò Lina a cazzotti e Lina accettò. Il match si stava mettendo al peggio per Lina che, vista la mala parata apriva la mano e concludeva la partita con un sonoro ceffone.

Lina non aveva ancora metabolizzato i concetti del Vangelo dell'amore: perciò si era comportata come un animaletto, seguendo l'istinto di difesa,

Dopo quell'episodio, le altre femminucce del branco, cominciarono a rispettarla molto e non solo perchè Lina aveva un carattere forte; ma anche perchè non si lasciava intimorire dai maschi, correva come una lepre, inventava tantissimi giochi divertenti e le compagne tacitamente le avevano data l'autorità di punire severamente quelle bambine che trasgredivano le regole. Ella, in quei casi, ammoniva così "Non giochi più per questa giornata"; oppure, "Cammina per un po'con i sassolini nelle scarpe".

Se poi una bambina faceva qualcosa contro la lealtà e l'amicizia, Lina la obbligava a piantare uno spillo in un grosso cuore di pezza, rappresentante il cuore di Gesù.

Lina, a modo suo, dimostrava una certa attitudine a fare l'educatrice. Anche se si può discutere sui metodi da lei adottati: bisogna considerare sia la sua piccola età, sia il fatto che a quei tempi anche in oratorio, si respirava un clima educativo piuttosto intransigente e che nelle case qualche volta si sentivano i vecchi parlare di magie, feticismo, fatture.
Durante il pomeriggio, all'ora della merenda, tutti i bambini gridavano in coro dalla strada: "Mamma, buttami la merenda!" e dal cielo cadevano panini ripieni di burro e zucchero , olio e sale, marmellata, o anche senza niente.

Non si studiava mai: dopo un pomeriggio di grandi giochi, si rientrava tutti a casa per l'ora di cena, perchè i papà erano terribili e davano la cintura dei pantaloni sulle nostre gambe. Il padre era per noi bambini come il "bobo nero" Dovevamo essere con lui molto obbedienti e rispettosi della sua autorità: sulla porta di casa era scritto solo il suo nome, come dire "il padrone sono me".

Ma la mamma........veramente quel tipo di mamme sono da rimpiangere, perchè ci lasciavano intera la libertà per crescere, sperimentare le nostre capacità e svilupparle. Vi svelo un segreto: quella bambina che si chiamava Adele ero proprio io che vi racconto la mia storia. Ricordo che la mamma mi permetteva di organizzare spettacolini in casa. Facevo i costumi per le amichette con tutti gli stracci che trovavo, preparavo la traccia dello spettacolo di arte varia sfruttando le "specialità" dei componenti la compagnia (avevamo una certa pratica di spettacoli. Sovente nel nostro quartiere popolare, veniva il circo, si fa per dire, di "Padella e Fagiolino": questi due pagliacci ci facevano tanto ridere!)

Facevamo una serie di prove, che la mamma sopportava pazientemente, poichè la nostra casa era sempre piena di bambini urlanti, presenti in tutti i locali senza ritegno.

Infine, invitavamo tutti i nonni e facevamo pagare l'ingresso. Un solo spicciolo ciascuno, ma ciò ci esaltava perchè, terminato lo spettacolo, potevamo correre dalla lattaia sotto casa a comprare un pezzo di ghiaccio per fare la granita per tutti noi.( Se avevamo incassato poco, comperavamo un pesciolino di liquerizia per ciascuno). Tornati in casa, andavamo nella cucina e messo il ghiaccio in uno strofinaccio sul lavandino di marmo lo pestavamo con il martello. Un bicchiere, una spremuta di limone, poco zuccero e.... la festa era grande!

La mamma era felice di vederci felici. Per ringraziarla, andavamo in strada a cercare qualche pezzo di marmo. Lo pestavamo e facevamo la pietra pomice che poi le regalavamo perchè le serviva per togliere il nero da sotto le pentole.Dovete sapere che allora si cucinava sui fornelli con la carbonella: per questo le pentole diventavano tutte nere.

A proposito di fornelli. Sotto i fornelli c'era uno spazio vuoto e sapete cosa vi teneva la mia mamma? Cocca, la nostra gallina, la quale ci voleva tanto bene che faceva le uova tutti i giorni e con due rossi.
Questo perchè la mamma aveva di lei una grande cura. Non appena aveva un'ora libera, ella metteva la gallina nella borsa e andavamo in un posto un po' lontano da casa, dove c'era un prato. Noi sorelline giocavamo e la gallina beccava l'erba, qualche insetto, qualche pietruzza.

 

C'era un'altra cosa che mi piaceva fare: dipingere. In sala avevamo un armadio enorme, incombente, tinteggiato a smalto verde pisello. Lo trovavo deprimente. Chiesi alla mamma se potevo dipingerne le ante. Ebbi il suo consenso: così cominciai la mia carriera di pittrice: imbrattando l'armadio di casa!

Già allora pensavo che una donna dovesse saper fare molte cose: cucinare, cucire, ricamare, fare la maglia e l'uncinetto. Quindi osservavo la mamma, che sapeva fare bene tutte queste cose, e cercavo di imparare. La cosa che mi divertiva di più era il lavoretto con il rocchetto. Allora, il filo da cucito veniva venduto avvolto su rocchetti di legno. Noi bambini piantavamo quattro chiodini, detti "semenze"su una delle parti piatte del rocchetto, poi con della lana e un ago, avvolgendo il filo attorno ai chiodini e accavallando con l'ago le maglie, tessevamo un cordocino che scendeva dentro il buco del rocchetto. Ne facevamo tanti metri. Infine con il cordocino, costruivamo borsettine per noi, borsellini per la mamma, piccoli copricapo, cinture, ecc.

Intanto era scoppiata la seconda guerra mondiale. Ogni notte le sirene ci svegliavano perché arrivavano i bombardieri. In casa mia io ero la prima a scattare dal letto, a svegliare tutti, ad aprire l'anta dell'armadio dove la mamma teneva pronte in una borsa le cose più utili per ogni emergenza e, con la borsa in mano, correvo alla porta. Tutti, nel condominio, fuggivamo a rifugiarci nella vicina galleria del treno. Anche a scuola spesso dovevamo ricoverarci nell'interrato a causa dell'allarme. Le maestre ci facevano scendere in ordine, ci facevano sedere e pregare a lungo, mentre sentivamo le esplosioni delle bombe.

Alle finestrelle erano stati accatastatati sacchi di sabbia per proteggerci da eventuali schegge. Ogni tanto, quando una bomba esplodeva vicino, per le vibrazioni, dai sacchi scendeva un po' di sabbia. C'era un aereo da ricognizione che di giorno volava basso sulla città e lo chiamavano Pippo. Al vederlo, noi bambini cantavamo:
"E Pippo Pippo non lo sa,
che appena arriva fugge tutta la città:
si sente bello, come un apollo,
ma saltella come un pollo!"

Poi cominciarono i bombardamenti navali. Le bombe arrivavano di traverso e squarciavano le case. Di fronte al mio cortile c'era un'amichetta, Alba, che venne uccisa in pieno da una bomba. Mio papà si impressionò molto e decise di farci lasciare Genova per farci rifugiare in Toscana, in un paesino sperduto del senese. Lì saremmo state al sicuro.

Ricordo la partenza e le lacrime strazianti dei miei genitori che non volevano lasciarsi. Mia sorella dormiva in braccio alla mamma ed io ero molto gelosa perché mi pareva che nessuno si occupasse di me. Per arrivare a destinazione, dovevamo cambiare treno tre volte. Ricordo che volli vendicarmi facendo i capricci: ad ogni cambio mi rifiutavo di scendere e mia mamma si disperava e chiedeva aiuto alle persone dello scompartimento affinché mi mettessero a terra.. Arrivati all'ultima stazione, dopo che fummo scese dal treno, ci guardammo: avevamo il viso nero per il fumo del carbone con cui veniva alimentata la locomotiva.